Alita – Angelo della battaglia (USA, 2019)
Recensione
Una ottima trasposizione del manga tenuta presente la necessità di condensare un fumetto in un film. Rodgriguez riesce a mantenere le caratteristiche di un manga, dall'ingenuità del personaggio teenager all'ironia senza per questo rinunciare a parlare di uomini e donne in parte macchina e indugiare nello splatter. Raccomandato per tutti, anche gli adulti che sanno tornare un po' bambini ma che non vogliono guardare Biancaneve.
Storia8.0
Regia9.0
Fotografia8.5
Interpretazione7.5
Originalità7.0
Effetti speciali9.0
( 0 vote ) 0
Gli adattamenti dai manga sono sempre molto complicati soprattutto perchè i manga sono un piccolo mondo a sè stante che ha delle regole spesso molto particolari. Se lo si vuole occidentalizzare troppo diventa quasi banale, se lo si riproduce così com’è spesso diventa un soggetto non adatto ad un film. Ci sono tanti esempi di tentativi di portare i manga al cinema e raramente sono davvero convincenti.
Robert Rodriguez ci prova con Alita – L’angelo della battaglia e il risultato è sorprendentemente convincente. Non è una sorpresa perchè Rodriguez non sia bravo ma perchè il film riesce a mantenere quel misto molto particolare di ingenuità, proprio dei manga che spesso sono molto ironici, condito però da quello che – nel caso di Rodriguez – potremmo chiamare pulp. quella violenza che spesso porta i cartoni animati giapponesi ad essere proibiti o censurati al di fuori del Giappone. Certo l’universo cyberpunk di Alita si presta ed è forse ideale per uno come Rodriguez, con i suoi personaggi metà uomini e metà macchine in un mondo in cui si può aggredire qualcuno per rubargli questo o quel componente senza nemmeno volerlo uccidere. Però Rodriguez fa un ottimo lavoro, coniugando quella che in fondo è la storia di una ragazzina con i suoi “problemi” da teeanger (fidanzarsi, i conflitti con i genitori etc.) con una storia che alla sua base è quella di ingiustizia sociale che molti film Sci-Fi hanno usato e condendo tutto con uno splatter ed un pulp quasi “naturale”.
Lo fa non esagerando nell’indulgere nelle parti più ingenue ma nemmeno in quelle più splatter che spesso sono accennate o fatte intuire senza che la cosa diventi morbosa e il divertimento diventi solo l’affettare o smembrare qualcuno come spesso si fa nei film horror o di fantascienza.
La storia come detto riprende un pattern già usato da molti: il dottor Dyson Ido, specializzato in cibernetica, ritrova il nucleo di Alita che sembra essere caduto nella discarica della Città di Ferro da Salem, l’ultima delle città sospese e oggetto delle ambizioni di tutti i cittadini che vivono sulla terraferma. Il dottor Ido è ovviamente in grado di riparare Alita e le dà il nome della sua defunta figlia, prima di scoprire che la ragazza ha delle qualità non comuni e che probabilmente non è un semplice cyborg come pensava. Alita stessa apprende di essere in qualche modo unica e persino che il corpo che le ha fornito suo “padre” non è adeguato e sufficiente per le sue capacità, mentre progetta di aiutare il suo ragazzo a vincere un biglietto per Salem.
A Nova, il dominus di Salem, però non sfugge che la ragazza è speciale e che la cosa potrebbe mettere in pericolo il controllo che la città ha su tutti gli altri cittadini che in sostanza fungono da lavoratori per fornire alla città volante il suo status e, a volte, persino i pezzi di ricambio (umani o cibernetici) necessari per i suoi abitanti. Nova decide quindi di uccidere Alita in quella che potremmo considerare la più classica delle svolte.
In un’epoca in cui gli effetti speciali hanno ormai raggiunto livelli di realismo elevatissimo anche per gli occhi di chi è abituato a sapere dove e cosa guardare, il rischio per questi film è quello di affidare tutto ad ottima computer-grafica e giocare molto con gli effetti, adattando e a volte sconvolgendo trama e anche coerenza dei personaggi per inserire più scene possibile in cui è possibile piazzare l’effetto 3D o qualche rendering ben fatto. Invece il film di Rodriguez alterna bene questo tipo di situazioni per lasciare spazio ad un minimo di “recitazione”, almeno per quello che sono i personaggi umani. Non c’è nessun Macbeth in Alita ma almeno non è una lunga sequela di scene in cui inserire qualche effetto speciale.
E’ quindi un film godibilissimo che giocando anche con lo splatter senza esagerare può anche essere visto da spettatori che non apprezzano quel tipo di situazioni. Non che non ce ne siano, perchè l’intero film parla di uomini e donne che aggiungono o riparano pezzi del loro corpo, ma senza diventare l’unica ragione di vita della pellicola.
Insomma un ottimo lavoro, consigliato anche per i grandi a cui non dispiace fare qualche compromesso con le storie e tornare un po’ bambini.
La scheda su Wikipedia